Proponiamo, dal sito Forum PA la riflessione di Grazia Mannozzi e Gianni Penzo
Doria sulla managerialità centrata sulle
persone. Approcci scientifici si intrecciano a suggestioni
artistiche sempre rimanendo, comunque, al centro la persona umana e le sue
straordinarie potenzialità: Ci sono spunti, anche operativi, di
grande interesse.
Quand’era
sindaco di Brescia, Mino Martinazzoli raccontò un apologo. Con questa storia
desideriamo iniziare il percorso di avvicinamento al ruolo dell’Umanesimo
manageriale nelle amministrazioni pubbliche moderne, nella speranza
consapevole che quanto si dirà può valere per tutte le organizzazioni,
pubbliche e private.
Un Direttore
Generale di una grande azienda ricevette un invito a un concerto nel quale
sarebbe stata eseguita la Sinfonia n. 8 di Schubert, la celebre Incompiuta.
Non potendo andare al concerto, perché impegnato in una seduta del Consiglio di
amministrazione, egli pensò di offrire quel posto al Capo del personale. Si
trattava di un giovane laureato in economia aziendale, con una Master in una
università straniera prestigiosa. Si occupava anche di politica, voleva
efficienza e managerialità. Egli, ricevuto l’invito, andò al concerto.
Il giorno
dopo il Direttore Generale, incontratolo mentre si recava al lavoro, gli chiese
se gli fosse piaciuto il concerto della sera precedente e, con sorpresa, si senti
rispondere – in modo fermo e deciso – che a mezzogiorno avrebbe ricevuto una
relazione dettagliata.
A
mezzogiorno in punto la relazione arrivò sulla scrivania, suddivisa in cinque
punti:
1) durante
un considerevole periodo di tempo i quattro oboe non fanno nulla: si dovrebbe
ridurne il numero e distribuirne il lavoro tra il resto dell’orchestra,
eliminando i picchi di impiego;
2) i dodici
violini replicano la medesima nota, quindi l’organico dei violinisti dovrebbe
essere drasticamente ridotto;
3) gli ottoni
risultano perlopiù inefficaci, in quanto ripetono suoni già stati eseguiti da
altri e, nella fattispecie, dagli archi;
4) se tali
passaggi ridondanti fossero eliminati, il concerto potrebbe essere ridotto di
almeno un terzo;
5) se il
sig. Schubert avesse tenuto conto di queste mia osservazioni avrebbe terminato
la sinfonia.
Martinazzoli
chiuse l’apologo con queste parole: «Vorrei vivere in un mondo nel quale si
possa continuare a sentire l’incompiuta di Schubert così com’è». Pleonastico
probabilmente è dire che di quel Capo del personale non rimase traccia.
Per restare
nella metafora, come vedremo, l’organizzazione condivisa e il rispetto
reciproco tra le persone ci consentono di ascoltare Schubert senza che un
aziendalismo di maniera attui la semplificazione come risultato della
banalizzazione delle cose e, fatto ben peggiore, partendo da pre-giudizi
causati dall’ignoranza della materia, sminuendo il valore che ogni persona
porta con sé.
I manager vanno anche a scuola di poesia, contro la
corruzione
In una
congiuntura in cui l’Italia è tra i paesi europei in cui più dilaga la
corruzione, in cui la percezione del funzionario pubblico è legata al concetto
del fannullone e in cui i crimini commessi dai colletti bianchi, quand’anche
scoperti, rimangono spesso impuniti per prescrizione, serve ripartire dalle
basi fondamentali della cultura umanistica e dalla centralità della persona.
In buona sostanza, ci salveremo soltanto quando affronteremo il lavoro nel
rispetto reciproco, recuperando un’etica delle professioni, maturando il senso
della dignità di essere funzionari pubblici. Si tratta di un percorso
intellettuale in cui deve emergere la necessità della formazione e dell’aggiornamento
professionale come processo continuo e incessante volto al miglioramento di sé,
anche a vantaggio dell’organizzazione per cui si lavora.
In ufficio,
di norma, si trascorre un terzo del proprio tempo dal lunedì al venerdì.
Pensare di andare al lavoro in un clima avverso, anche solo per proprio
autoconvincimento, significa fin da subito cominciare male e spesso finire
peggio la giornata, accumulando sentimenti di frustrazione, di sconfitta o di
rivalsa. Purtroppo, quando il pensiero cognitivo decide che un ambiente è
sfavorevole oppure ostile, la percezione delle cose, anche di quelle più belle
o perfino neutrali, finirà con l’essere condizionata negativamente. In siffatti
contesti, trovano terreno fertile la perdita di interesse, la demotivazione, la
delusione, il sospetto e persino il mobbing. Gli esiti sono noti:
somatizzazioni, stati d’ansia, livore e atteggiamenti pregiudiziali su
qualsiasi questione nei confronti dell’ambiente lavorativo, dei colleghi e, più
in generale, dell’ambiente esterno. E quando compaiono queste situazioni di
sofferenza personale, è bene innanzitutto focalizzare l’attenzione non tanto
sull’individuo quanto piuttosto sul clima dell’ambiente lavorativo e sulla
qualità dell’organizzazione. Spesso il sintomo personale può fare da
cartina di tornasole del “cattivo morale della truppa”.
L’Umanesimo
manageriale è stile che nasce dal recupero del profilo alto della persona e
dell’importanza di un tessuto relazionale positivo tra colleghi,
indipendentemente dagli incarichi e dalle gerarchie funzionali. Esso mira, in
concreto, a far conoscere reciprocamente i colleghi, a partire dalle persone e
non dai ruoli. Ciascuno di noi, infatti, non ha come esclusivo riferimento
personalistico la vita lavorativa: coltiva interessi, vive un ambiente
familiare, gode di amicizie, si rapporta con il resto del mondo al di fuori
dell’ufficio. Con l’Umanesimo manageriale si realizza il pensiero laterale, la
consapevolezza della diversità di interessi, conoscenze, logiche di azioni; in
una parola, si creano le possibilità di integrare e integrarsi nel lavoro
attraverso le diversità dell’extra lavoro.
Ognuno di
noi, dunque, rappresenta un universo a sé, possiede una ricchezza interiore che
va compresa, condivisa, messa a frutto e a fattor comune. C’è chi canta (un
soprano, un baritono), chi è esperto in cucina (per dolci, per antipasti), chi
suona uno strumento (un sax, una chitarra), chi svolge attività di volontariato
(donatore di sangue, assistenza ad anziani), chi scrive racconti fantastici o
si appassiona a spiegare poesie. Ma talenti, capacità e interessi raramente
emergono nelle dinamiche degli ambienti di lavoro, dove si staglia grigiamente
il ruolo. Paradossalmente il luogo di lavoro può persino trasformare il
mite dott. Jekill in Mr. Hyde o viceversa!
Raccontare
di sé – andare fuori da sé e narrare se stessi ai propri colleghi – ha
un impatto emotivo formidabile. Da quel momento un lavoratore non è più
“soltanto” un impiegato di categoria C o D con o senza posizione organizzativa,
ma una persona. Le relazioni intellettuali, le relazioni interpersonali
sono quelle più stimolanti per i rapporti umani. Il tutto basato sull’applicazione
e la diffusione della cultura, anzi delle culture, nel senso più ampio e nobile
del termine. Dopo aver visto qualcuno a cui si è soliti abbinare un contesto in
maniera meccanica (una scrivania, un atteggiamento durante la firma o in una
riunione) all’interno di altri contesti, il luogo di lavoro diventa altro e
inventa percezioni nuove, meno ingessate e più favorevoli al miglioramento del
clima organizzativo generale.
Un buon
manager, dunque, non deve conoscere solo il primo movimento della 5ª Sinfonia
di Beethoven, ma anche gli altri tre. È bello che conosca Pascoli oppure
Montale, ma anche Walt Witman. Esiste solo buona musica: per questo,
l’Umanesimo manageriale prevede l’ascolto di Schubert ma anche di Bryan Adams,
di Bach ma anche dei Doors, di Vivaldi ma anche di Battisti. Chi ascolta Mozart
e ne condivide la bellezza con gli altri ha maggiori probabilità di non essere
un corrotto, perché perdere la faccia in un ambiente impersonale, fatto solo di
adempimenti burocratici, impone un clima asettico, suscettibile di essere
violato con minori sforzi emotivi. Deludere una persona e avere contezza di
aver deluso la fiducia ha un costo morale per chi vive in un ambiente
lavorativo in cui le relazioni umane sono autentiche e ritenute essenziali.
Non di sole
procedure vive l'Amministrazione
Un buon
manager deve certamente preoccuparsi di affinare le procedure, velocizzare i
processi e non perdere tempo sui procedimenti amministrativi. Tuttavia, può
riuscire a farlo esclusivamente mettendo al centro di queste azioni le persone.
La centralità del trattare bene i colleghi, con garbo, con gentilezza è una
risorsa fondamentale che cresce continuamente solo se alimentata da fattori
simili. Gentilezza e garbo richiamano e si alimentano loro stesse, così come la
correttezza e l’etica professionale possono innescare circoli virtuosi. Quando
Michael Hammer presentò al mondo assieme a James Champy il business process
reengineering (BPR) lo fece come descrizione di un lavoro. Per quanto
geniale, sarebbe rimasta emotivamente poco più di una job description.
Qualche anno dopo ben si accorse della distorsione e, in un celebre articolo,
chiese scusa a tutti. Scusa per aver omesso un fattore fondamentale di
successo: la persona. Sono le persone, infatti, che portano a buon fine i
progetti. A seguire le regole del management, prima sono definiti i ruoli e poi
si scelgono le persone. Ma la saggezza del manager sa che si deve ricercare un
equilibrio tra le persone, perché la componente umana è il primo fattore atto a
determinare il successo o a decretare l’insuccesso di un progetto.
La giustizia riparativa per la risoluzione dei
conflitti
Essendo
persone, viviamo necessariamente di reazioni umane, anche faticose, difficili,
con esiti incomprensibili per il destinatario della comunicazione, talvolta
tali da trasmodare in conflitti o dissidi. Quando questo accade, chiudere ogni
comunicazione lascia irrisolto il problema alla radice del conflitto e anche
chiedere scusa può non bastare. Per la gestione, ma anche per la prevenzione
delle dinamiche conflittuali nell’ambiente di lavoro, l’Umanesimo manageriale
si avvale delle indicazioni di metodo della Giustizia riparativa.
La Giustizia
riparativa nasce come modalità alternativa della gestione dei conflitti
originati da un reato o espressi attraverso un reato. La crisi senza precedenti
del sistema penale, la delusione per gli esiti della pena detentiva, la nuova
centralità della vittima, sancita anche da recenti direttive europee, il
recupero di tradizioni antropologiche di gestione comunitaria e conciliativa
dei conflitti hanno portato alla nascita di un paradigma di giustizia – quella riparativa
appunto – che ha rapidamente travato diffusione a livello globale.
Giustizia
riparativa vuol dire cercare comunitariamente risposte ai conflitti che non
costituiscano un raddoppio del male, che non comportino esclusione, lasciando
inespressi sentimenti ed emozioni e inalterato il livello di conflittualità.
Giustizia riparativa vuol dire attenzione all’altro, al suo essere persona,
focalizzazione su ciò che unisce a partire da ciò che ha diviso, riconoscimento
di interessi comuni, di possibilità di soddisfacimento dei bisogni di ascolto,
di riconoscimento e di riparazione, sia essa simbolica o materiale.
La
flessibilità degli strumenti operativi della giustizia riparativa (la
mediazione, la riparazione, le scuse formali, i gruppi di ascolto, i restorative
circles) ha fatto sì che il ricorso alla giustizia riparativa abbia
oltrepassato i confini del diritto penale. La giustizia riparativa è diventata
un paradigma generale, uno stile gestionale, una modalità di intervento
reattiva (o di conflict resolution) e proattiva (o di problem solving)
utilizzabile ad ampio spettro. In ambito scolastico, per esempio, si ricorre a
strumenti e metodi della giustizia riparativa per affrontare il problema del
bullismo e, nei paesi più all’avanguardia nella organizzazione della istruzione
di base e avanzata, la giustizia riparativa è modalità comportamentale che si
apprende già nelle scuole elementari.
In ambito
universitario, la Giustizia riparativa è utilizzata quale modello di gestione
dei conflitti a livelli diversi (tra studenti, tra studenti e docenti,
nell’ambito del personale amministrativo, tra docenti e personale) in molti
campus nordamericani. Libri importanti sono stati scritti per costruire
attraverso la giustizia riparativa una campus community, con benefici
considerevoli in termini non solo di armonia e di coesione, ma anche di
rendimento degli studenti e di produttività ed efficienza d’insieme.
La chiave di
volta è il restorative circle: un incontro dialogico guidato da un
facilitatore (circle keeper), che ricorda e fa mantenere le regole
minime di rispetto interpersonale e garbo comunicativo. Ci si siede, dunque, in
circolo – attivando una modalità dialogica autenticamente democratica, in cui
sono abolite frontalità e gerarchie e – passando di mano in mano il c.d. talking
piece, un oggetto simbolico che finché tenuto in mano dà diritto di essere
ascoltati e di non essere interrotti – ciascuno può parlare, o anche
semplicemente tacere, perché anche il silenzio può essere espressivo. Il focus
è sul conflitto, ma le domande per affrontarlo sono diverse da quelle
classiche. Non più semplicemente: chi è stato? Di chi è la colpa? A partire
dalla ricerca di interessi convergenti ci si chiede invece: cosa è successo?
Chi ne è rimasto danneggiato? Cosa si può fare per riparare? Cosa si può fare insieme
per prevenire conflitti futuri?
Al centro
della Giustizia riparativa non ci sono la colpa e la riprovazione, bensì la
sofferenza prodotta, la cura e la riparazione. Dialogo, riconoscimento
dell’altro, responsabilità attiva per riparare e ri-costruire. Infatti, talora
dimenticanze, omissioni, errori o scorciatoie – che possono configurarsi come
illecito amministrativo – sono in realtà espressione/sintomo di uno stato
psico-fisico di stanchezza o di fatica (dimensione strettamente personale)
necessitanti di aiuto o di supporto. La metafora della cordata in montagna,
dove ognuno dà e riceve, può descrivere meglio l’attenzione alla persona.
Questo è fare giustizia riparativa.
Il team di progetto
L’Umanesimo
manageriale ha un team di persone che lo hanno progettato, lo hanno condiviso e
lo seguiranno per tutto il 2015, affiancandosi al Centro studi sulla
Giustizia riparativa e la Mediazione (CeSGReM) dell’Università degli Studi
dell’Insubria:
- Alfredo Biffi, Professore associato di teoria dell’organizzazione
- Giovanni Angelo Lodigiani, Docente di Giustizia riparativa e mediazione penale
- Grazia Mannozzi, Professore ordinario di diritto penale - Coordinatrice
- Gianni Penzo Doria, Direttore Generale - Coordinatore
- Simone Vender, Professore ordinario di psichiatria
Il primo
semestre del 2015 sarà scandito da un primo appuntamento in cui sarà illustrata
la poetica di Eugenio Montale (a dicembre venne preferito a Giovanni Pascoli in
una votazione informale). Ai primi di marzo Mariateresa Balsemin, Manager
didattico per la qualità del Dipartimento di scienze teoriche e applicate, si
esibirà con tecnica ed eleganza come soprano in arie barocche. In aprile, Catia
Imperatori e Roberta Meroni, rispettivamente funzionario dell’Ufficio Sistemi
informativi direzionali e funzionario della Segreteria del Rettore e del Pro
Rettore vicario, illustreranno i segreti della loro cucina raffinata, fatta
anche di dessert creati su misura per le occasioni e/o per il protagonista
dell’evento, insomma di dolci personalizzati. A maggio sarà la volta di un
musicista esperto, Luca Gallo, Capo ufficio relazioni internazionali che
parlerà ai colleghi della sua passione per le lame giapponesi, con tanto di
piccola mostra per l’occasione. L’ultimo incontro del semestre vedrà
protagonista Isabella Bechini, Capo ufficio segreterie studenti, con una
conferenza su La donna nel Medioevo: uno spaccato della vita di qualche
secolo fa con molti riflessi sul mondo contemporaneo. Con la seconda metà del
2015 inizierà anche un percorso visivo-percettivo: Giovanni Barbieri, Capo
ufficio contabilità, illustrerà infatti la passione per la fotografia d’autore,
dai viaggi allo sport (F1, soprattutto).
I manager
dell’Ateneo – circa una quarantina tra dirigenti, capi servizio, capi ufficio,
manager didattici per la qualità, segretari amministrativi e funzionari con
incarico specifico – hanno aderito con entusiasmo e inizieranno un percorso insieme
per applicare nella concretezza del lavoro quotidiano per tutto il 2015 la
Giustizia riparativa e l’Umanesimo manageriale.
* Grazia
Mannozzi è Professore ordinario di Diritto penale, mentre Gianni Penzo Doria,
nostro collaboratore da tempo, è Direttore Generale. Entrambi lavorano e
applicano l’Umanesimo manageriale all’Università degli Studi dell’Insubria www.uninsubria.it/umanesimo